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Dalì in poi…storia di un genio, tra sregolatezza, sessualità e follia

Salvador Dalì, un genio indiscusso dell’arte surrealista; inconfondibile, bizzarro ed affascinante.
Scopriamo nuovi tratti del suo carattere e tanti aneddoti della sua vita privata per comprendere al meglio la natura di un personaggio così discusso e acclamato. Tante immagini rare e citazioni folli.

La figura di Dalì è da sempre accompagnata da grande interesse e curiosità.
Un personaggio ambiguo, difficile ma dannatamente affascinante.
Nasce come Salvador Domènec Felip Jacint Dalí i Domènech, a Figueres in Catalogna, l’11 maggio 1904.
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Dalí fu un virtuosissimo pittore, scultore, fotografo, cineasta, designer e sceneggiatore. Un uomo dai mille volti, che amava vestirsi in modo stravagante, con una personalità per certi versi spumeggiante per altri limitata.
In molti quando pensano al grande pittore non immaginano le sue opere bensì gli scatti che lo ritraggono, sempre in atteggiamenti stravaganti ed eccentrici.
Vogliamo ripercorrere la sua vita proprio attraverso questi scatti, ma andiamo con criterio, bisogna tornare indietro per comprendere qualcosa della sua personalità.
Nel 1902 il fratello maggiore, anch’egli chiamato Salvador, morì a causa di una meningite; quando aveva solo 5 anni Dalì fu portato alla tomba dai suoi genitori, che ritennero opportuno fargli credere d’essere la reincarnazione del fratello morto.
Da qui il delirio, il giovane Dalì entrò in uno periodo che descriverà in futuro come uno stato di identificazione con il fratello morto di cui percepisce “l’ombra in decomposizione”.
“Ci somigliavamo come due gocce d’acqua, ma rilasciavamo riflessi diversi. Probabilmente lui era una prima versione di me, ma concepito in termini assoluti”.
CUOCA O NAPOLEONE?
Un uomo dalle mille passioni, all’età di sei anni manifestò il desiderio di voler diventare cuoca, insistendo sul genere femminile.
A sette anni voleva essere Napoleone, ne vide l’immagine in un ritratto poggiato su di una scatola di thè, e diceva “Questo Napoleone dalla fierezza di un Giove Olimpico, dal ventre bianco e ben nutrito, dalle guance rosee e imperialmente lustre e dal melodico ed elegante cappello corrispondeva esattamente all’idea che avevo di me da re…il mio ardente desiderio di innalzamento dal mestiere di cuoca a quello di Imperatore derivava da Napoleone, da bere, che mi si intrinsecava sotto forma di thè”.
“So che sono feroce… assaporo meglio la vita, il sapermi vivo, quando divoro un morto” diceva “beccacce frollate, cucinate e servite intere, frutti di mare dalla splendida armatura, crani di uccellini da cui estrarre il midollo”.
“La mia pittura è gastronomica, spermatica, esistenziale”. Dalì viveva il cibo come uno scrigno in cui si celavano il mistero della nascita, il desiderio della passione, il silenzio e il timore della morte.
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Fino al 1922 resta nella sua città natale per poi decidere di trasferirsi a Madrid e studiare all’Accademia di belle arti di San Fernando. Il suo stile era già riconoscibile, un vero dandy, basette lunghe, capelli lunghi, calze lunghe e pantaloni alla zuava. Non passava di certo inosservato e si circondò di molti amici ma una in particolare influenzò la sua vita, quella con Federico Garcia Lorca.
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“Il dandy deve vivere e dormire davanti allo specchio” diceva Boudelaire, ma questi non furono sufficienti a Dalì che comincio a riflettersi nei suoi dipinti, cercando continuamente consenso; aveva bisogno degli ammiratori, della stampa, della televisione.
Un Natale a New York per far si che la gente si accorgesse di lui, si aggirò per le strade della città suonando incessantemente una campanella.
Dalì e Lorca vivevano un amoroso trasporto reciproco. Nonostante il poeta si fosse innamorato perdutamente dell’amico, dimostrando i suoi sentimenti attraverso bellissime lettere e poesie, Dalì si negò ad un tentativo di sodomizzazione dell’amico.
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                                 “Adoro i miei nemici quando sono intelligenti
                              tanto quanto detesto gli stupidi che mi difendono.”
 
PEZZI DI FICA
Pare che fino a quel momento Dalì fosse confuso e non avesse mai avuto esperienze sessuali e passò altro tempo prima che si dedicasse anche a questo aspetto, che comunque coltivava nelle sue fantasie e con chiari riferimenti nelle sue opere.
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L’atteggiamento stravagante non cambiò con gli anni, anzi andò amplificandosi esponenzialmente con l’acquistare autostima e consensi, tanto che nel 1926 venne espulso dall’Accademia.
Poco prima di sostenere gli esami finali, affermò che nessuno nell’istituto era abbastanza competente da esaminare uno come lui.
Quello fu un anno di svolta per lui si spinge verso il neocubismo non tralasciando il realismo, dipinge donne nude, soggetti amorfi, parlano di una fase transitoria. Questi dipinti vennero definiti “pezzi di fica” (trossos de comian) intendendo una persona totalmente corporea, vegetativa.
                  “Ogni mattina, al risveglio, provo un piacere supremo,
                                      il piacere di essere Salvador Dalí.”
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Da qui nacque il Dalì che conoscono i più. Iniziò a coltivare i suoi famosi e vistosi baffi, ispirati a quelli del grande maestro del Seicento spagnolo Diego Velázquez, baffi che diventarono un tratto inconfondibile e caratteristico del suo aspetto.
Decise quindi di andare a Parigi, per essere più vicino ai suoi colleghi surrealisti e per unirsi al gruppo di Montparnasse, ma anche per darsi alla ricerca della donna che potesse finalmente soddisfare le sue fantasie erotiche (per farlo visitò quasi tutti i bordelli della città).
Proprio nella città francese incontrò Gala, moglie di Paul Eluard (guida del movimento surrelaista).
Il vero nome di Gala era Elena Ivanovna Diakonova. Un’espatriata russa di undici anni più vecchia di lui, che successivamente diventerà sua moglie, la sua compagna di vita.
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            “L’unica differenza tra me e un pazzo è che io non sono pazzo.”
 
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Nel frattempo i rapporti tra il pittore e il padre si incrinarono,  fino alla rottura definitiva; Don Salvador Dalí disapprovava la storia d’amore tra il figlio e una donna separata e riteneva che la sua vicinanza ai surrealisti avesse un pessimo effetto sul suo senso della morale.
Nel 1929 fu cacciato dalla casa paterna. Il padre gli disse che intendeva diseredarlo e gli intimò di non mettere mai più piede in quella città.
Diede un taglio netto alla chioma “mi rasai la testa e non mi limitai a questo, poi sotterrai il mio sacro orgoglio capelluto con i gusci dei ricci di mare che avevo mangiato a pranzo, salii su di una collinetta che domina il villaggio e vi trascorsi due ore, seduto tra gli ulivi e m’immersi nel panorama della mia infanzia..” il padre dichiarò “non preoccupatevi, in meno di una settimana sarà di nuovo qui, pieno di pidocchi a chiedermi perdono”.
Si sbagliava, tornò, ma ben più tardi e senza pidocchi ma col capo idealmente incoronato, come un artista di successo.
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Gli anni che seguirono furono di grande produzione artistica, che spaziò dalla realizzazione di grandi opere pittoriche, gioielli, elementi d’arredo, perfino il logo dei famosi Chupa Chups.
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LA VITA DI COPPIA e LA FINE
Il rapporto coniugale era assai bizzarro, i due legati da un forte sentimento erano comunque avvezzi al tradimento, Gala ebbe molti amanti e Dalì accettò questa condizione ritenendo che la moglie fosse la sua salvatrice.
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Senza di lei sarebbe morto prematuramente di follia; Gala riuscì a fare da tramite tra il suo genio e il mondo esterno, che l’artista non gestiva in quanto estremamente insicuro e turbolento.
Negli anni a seguire incontrò Amanda Lear, la sua musa preferita, amante e grande ispirazione.
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Con il passare degli anni l’amata moglie Gala fu colpita da una forma lieve di demenza senile, e nel 1980 aggravò, senza volerlo, la salute di Dalì somministrandogli un pericoloso cocktail di medicinali senza che gli fossero prescritti.
Da qui il danno al sistema nervoso che gli provocò la precoce fine delle capacità artistiche; la sua mano destra cominciò a tremare in maniera terribile come preso dagli spasmi della malattia di Parkinson.
La moglie Gala morì due anni dopo, il 10 giugno 1982, un evento che tolse all’artista la maggior parte della voglia di vivere, al punto da desiderare la propria morte.
Dopo diversi tentativi di suicidio falliti, il 23 gennaio 1989, a 84 anni, morì per un attacco di cuore, ascoltando Tristano e Isotta di Wagner.
George Orwell in un saggio scrisse: «Bisognerebbe essere capaci di tenere presente che Dalí è contemporaneamente un grande artista ed un disgustoso essere umano. Una cosa non esclude l’altra né, in alcun modo, la influenza.»
                            “Il segreto del mio prestigio rimarrà un segreto.”
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